Antonello Torzillo - Blog

PENSIERI UNICI PER PERSONE UNICHE

Il giorno in cui ho comprato la prima macchina mi sono reso conto che molti avevano fatto la stessa scelta. In strada si erano riversate decine di persone alla guida di auto uguali, bastava girare l’angolo di una via ed ecco che, parcheggiata a bordo strada, spuntava una copia della mia scelta ponderata e valutata con minuzia. Come è stato possibile? Qualcuno potrebbe sostenere che le menti degli esseri umani siano collegate e che quando, per una serie di congiunzioni astrali, l’energia accumulata tra loro raggiunge l’apice avviene il miracolo: un pensiero si diffonde e tutti decidono di comprare la stessa auto o chissà che altro. Molto bello(?), ma siamo sicuri che è proprio ciò che accade?... Non c’è un’altra spiegazione più razionale e meno straordinaria? A dirla tutta, l’idea di essere collegato ad altri esseri umani da fili psichici mi spaventa, ma soprattutto minimizza la realtà dei fatti: il nostro cervello registra solo ciò che ci interessa e scarta tutto quello che in quel momento ritiene inutile. Quante auto come la mia mi sono passate a fianco nei mesi precedenti l’acquisto? Sicuramente molte, ma non ci ho fatto caso, e così mi sono convinto che di quel modello non ne girassero molti. Ho ceduto alla semplificazione, preferendo credere piuttosto che pensare. Perché pensare è difficile mentre credere è più semplice.

Nel tempo si è diffusa la convinzione che la mente assomigli a una macchina fotografica grazie alla quale siamo in grado di immagazzinare tutto ciò che vediamo, sentiamo (percepiamo) e così via, sicuri che basti fare uno sforzo per ripescare un dettaglio finito sul fondo di uno dei tanti cassetti di cui la nostra memoria è composta. Ma funzioniamo proprio così? Fin dall’antichità abbiamo elaborato metodi per migliorare la registrazione delle informazioni (ricordiamo tra i primi Simonide, 556 a.C - 468 a. C, poeta greco a cui fu attribuita l’invenzione di una tecnica mnemonica che permetteva di imprimere informazioni tramite punti di riferimento visivi), il che ci dovrebbe far sospettare che non siamo proprio così bravi nel farlo spontaneamente. Non a caso negli ultimi anni si è iniziato a rivalutare il ruolo dei testimoni oculari di eventi criminosi soppesando il contesto in cui la testimonianza è avvenuta e tenendo conto della soggettività di cui siamo portatori sani. Potremmo dire che vediamo ciò che vogliamo vedere credendo a ciò che vogliamo credere. Come dicevo poco sopra, pensare è difficile. Il nostro cervello è pigro e tende a conservare le proprie energie. Trova soddisfazione nelle spiegazioni che aderiscono a idee pregresse piuttosto che metterle in discussione. Fruiamo la realtà da un unico punto di vista, il nostro, e tanto basta per chiudere la porta in faccia a migliaia di altre possibilità interpretative, anche se palesemente migliori, sviluppando una unica linea di pensiero, attraverso la quale, saltellando soddisfatti di come tutto si adatti alle nostre convinzioni, ci dirigiamo verso il precipizio della cecità cognitiva.

Non è facile mettersi in discussione. Non è facile pensare di essere fallibili. La lotta quotidiana che dobbiamo intraprendere contro il nostro egocentrismo universale è sfiancante e logora fino all’ultima fibra del nostro essere. Ma è indiscutibile che se ci rendiamo conto che il nostro modo di valutare il “fuori di noi” (come il “dentro”) è impreciso e che siamo propensi a cadere in fallacie cognitive, saremo in grado di difenderci da tutto ciò che ci circonda e da chi cerca di sfruttare queste nostre debolezze. Se ci sforzassimo di affrontare l’esistenza armati di pensiero critico, magari la sera andremo a letto stremati, a volte confusi, ma sicuramente più liberi. E ricordate: il dubbio ci salverà la vita.


LE MOLTEPLICI FORME DELLA TOLLERANZA

Siete fieri di essere tolleranti? Anche io. Infatti, mi immagino ogni qualvolta esprimo un pensiero tollerante o mi comporto in modo da sentirmi tale, una cascata di coriandoli dorati che cade dal cielo seguita da applausi scroscianti. Bello! Anzi, bellissimo. Perché quando tolleri qualcuno è bello. Il problema nasce quando qualcuno tollera te. Anche a voi si storce il naso?, si inarca un sopracciglio? E ti chiedi: “In che senso mi tollera”? In effetti, se chiedessimo a qualcuno come vede la nostra presenza a una ipotetica festa tra amici e questo qualcuno rispondesse che tollera il fatto che ci siamo anche noi, beh!, a me le palle girerebbero un po’ e farei fatica a non mandarlo a quel paese. Ma visto che sono una persona tollerante evito e mi vado a cercare sul dizionario la parola tolleranza (fatelo!)..., ma dato che non mi basta cerco ancora e ancora. E cosa vado a scoprire? Che di tolleranza non ne esiste una sola. E non parlo di tolleranza in materie come la geometria e cose così, perché non ne capisco molto, rimaniamo nel campo dell’umano comportamento.

Girovagando tra libri e materiale vario, si evince che c’è una spaccatura tra coloro che cercano di sviscerare il senso più profondo del concetto di tolleranza. Abbiamo infatti la tolleranza che sopporta e la tolleranza che supporta. E a guardar bene, entrambe fanno parte di noi. Ancora una volta non possiamo fare a meno di complicarci la vita, ma come esseri fatti di istinto e ragione, qualsiasi cosa ci riguardi è complicato. In principio c’era la religione (la nostra pancia), che della tolleranza sfrutta il significato più primitivo, quello di “sopportare” (l’etimo latino suggerisce l’idea di tolus, del “peso”). Perché se sei convinto di possedere la Verità non puoi far altro che estirpare l’errore da chi non la vede come te. In seguito, arrivò lo Stato (la nostra testa) che, grazie a secoli di discussioni in merito, passando da Erasmo da Rotterdam (1469-1536) e John Locke (1632-1704) fino a trovare nell’Illuminismo il pieno riconoscimento, la tolleranza comincia a significare non solo rispetto delle fedi diverse, ma più in generale, rispetto delle idee e dei diversi punti di vista.

In questo breve e incompleto excursus storico si può vedere come la stessa parola si sia evoluta nel tempo e il parallelismo tra religione e pancia o istinto, e Stato e mente o ragione, sia calzante per semplificarne il dualismo. Siamo passati da un’era in cui “io ho ragione e tu devi morire”, all’epoca del “forse vale la pena ragionare sul perché ci stiamo ammazzando”, creando una netta scissione (almeno sulla carta) tra il ruolo della Religione e il ruolo dello Stato nella nostra vita quotidiana. Alla prima, rimane il compito di curare l’Anima, al secondo il Corpo. Ed è ancora così oggi. Magari la nostra religione non ha un nome specifico, ma rimaniamo in costante ricerca di qualcosa in cui credere per andare oltre a ciò che vediamo. Non possiamo farne a meno. Allo stesso tempo, però, vogliamo che le vicende pratiche del nostro esistere vengano gestite da chi ha i piedi ben piantati a terra e ci dia soluzioni in tempi più consoni con la durata della nostra vita terrena.

Il dualismo tra Religione e Stato è la rappresentanza di ciò che ci compone. Siamo refrattari al diverso mostrandoci infastiditi se non del tutto intolleranti verso ciò che non è parte del nostro ristretto mondo (non sei come me e quindi ti scaccio), perché abbiamo paura di perdere ciò che è nostro in quanto abitanti di un pensiero o luogo specifico. Ma non possiamo fare a meno di pensare che ci siano altri modi di vedere l’Altro, consci che questo ruolo è toccato o potrà toccare anche a noi (Vax contro NoVax, per citare una spaccatura del tutto interna a noi come cultura, luogo ed etnia). Perché solo istruendoci al pensiero razionale, possiamo scalzare l’istinto di tollerare in quanto pesi gli altri, cosa che ci avvicina inesorabilmente al suo contrario: l’intolleranza.

Umberto Eco, nel saggio ‘Migrazioni e Intolleranza’, dice: “L’intolleranza per il diverso o per l’ignoto è naturale presso il bambino tanto quanto l’istinto d’impossessarsi di tutto quel che desidera. Il bambino viene educato alla tolleranza a poco a poco, così come viene educato al rispetto della proprietà altrui e prima ancora al controllo del proprio sfintere. Sfortunatamente, se tutti pervengono al controllo del proprio corpo, la tolleranza rimane un problema di educazione permanente degli adulti, perché nella vita quotidiana si è sempre esposti al trauma della differenza.” Ecco perché non basta dire di essere tolleranti, ma bisogna anche scegliere quale tipo di tolleranza far prevalere all’interno del nostro pensiero. In conclusione, possiamo dire che nulla che ci riguardi è semplice e la Verità non è una e spesso non sta nemmeno nel mezzo. Accettando tutto questo, forse, ce la caveremo anche questa volta. E ricordate: il dubbio ci salverà la vita.


IO HO PAURA!

Io ho paura, ebbene sì, lo ammetto. Tra i tanti sentimenti che gli esseri umani, in modo sistemico e ben cadenzato, riescono a farmi provare, la rabbia cieca è quella che più mi possiede. Come dite? Dicevo di avere paura e invece ora parlo di furia assassina al limite del bestiale? No, nessun errore. È da qui che in un secondo momento, scaturisce questa grande sentinella che in tutti noi cresce fin dagli albori dell’esistenza. Perché la paura non è sempre un male, ti mette in allarme, ti dice che qualcosa non va intorno a te, dentro di te. Se ci trovassimo nel bel mezzo della savana e sentissimo ruggire, la paura ci farebbe correre in cerca di un luogo sicuro in cui rifugiarci. Se a ruggire invece, fossero idee sbagliate che nella nostra testa cercano di farsi spazio, di oscurare il nostro buon senso…, anche in questo caso dovremmo correre in cerca di un riparo, non in senso letterale, certo, andare svelti verso la panic room ...che ognuno di noi ha in sé stesso, lì dove i dubbi ti salvano la vita, e chiudersi dentro per riflettere, soppesando smembrando calpestando e rinnegando ciò che riteniamo sbagliato o che quanto meno non vogliamo ci rappresenti. Ecco!, direte voi, adesso che ci siamo calmati, possiamo scacciare via la rabbia e riporre la paura nella sua scatola insieme alle istruzioni, pronta per il prossimo utilizzo. E in effetti, di solito facciamo così, almeno io faccio così.

Ma… mi sento di dire: “Ma…”. E sì, perché non basta. Non è più sufficiente farsi un esame di coscienza, ributtare giù nello stomaco i cattivi sentimenti che per poco non stavi per vomitarti sui piedi e tornare a fare finta di niente. Bisogna fare uno sforzo ulteriore. Io voglio capire, voglio sapere perché. Vi faccio alcuni esempi, così magari ci capiamo, ed è importante capirsi di questi tempi. Mi piacerebbe sapere come si possa credere in idee tanto antiche quanto sbagliate (ma tanto sbagliate). Vorrei capire perché persone che si reputano libere, perdano tempo a insultare chi, secondo la loro opinione, e questo vi fa capire il limite, non lo è. Mi piacerebbe parlare con chi pretende di svincolarsi dai paletti che ogni società impone pur volendoci sguazzare dentro. Mi piacerebbe vedere svanire coloro che decontestualizzano la crudeltà umana per fare parallelismi dei quali dobbiamo solo vergognarci.

Ho detto svanire, è vero, forse è troppo. Datemi un momento che faccio un giro nella mia panic room e torno. Eccomi di nuovo qui, una pausa mi ci voleva proprio. Già che c’ero ho dato un occhiata ad alcuni libri che tengo in fila su di uno scaffale, tutti belli ordinati. Mi è toccato arredarla questa panic room, roba da poco, quasi tutto Ikea, ma essendo uno che dei dubbi ha fatto un mestiere (sottopagato e non sempre meritocratico), non potevo fare diversamente. Ora, non posso dire di avere delle risposte sul perché ci comportiamo come ci comportiamo, ma nei libri spesso si trovano indizi con i quali farci un’idea. Ma non solo nei libri, a volte anche il cinema ci lascia qualcosa di interessante su cui ragionare. Devo dire però che non sempre le risposte ci fanno sentire meglio, la Verità o ciò che più ci si avvicina, è piena di vertici appuntiti e spigoli taglienti, bisogna maneggiarla con cura, magari con dei guanti spessi e resistenti, ma non possiamo ignorarla. Tornando ai libri e compagnia bella, se dovessi sintetizzare ciò che vi ho trovato dentro lo farei così:

GLI ESSERI UMANI SONO BELLICOSI!

E con questa affermazione potremmo chiudere ogni discussione, perché in essa c’è tutto quello che ci riguarda, e poi lo si dice dalla notte dei tempi. Eraclito lo sosteneva già nel 500 a.C. “Pòlemos (ovvero la Guerra, anche se in senso più metafisico) è padre e re di tutte le cose”, e ancora “bellissima è l’armonia dei discordi”. In poche parole sosteneva che senza la diversità e il conseguente scontro che questa ha insita in sé nulla potrebbe esistere, nemmeno la vita. Facendo poi un salto nel tempo arriviamo fino a Hegel, il quale sosteneva la Guerra in quanto lotta armata, stabilizzatore della salute e della vita dello Stato, e ne descriveva i pregi paragonandola al vento che impedisce all’acqua del mare di imputridire in una quiete durevole. Quiete che non stava altro che a significare “Pace durevole”. Ora, non condivido la sua visione sulla guerra come unica soluzione, ma c’è del vero in quel che dice. Da quando Dio è morto (facciamocene una ragione) e l’IPhone ha superato il decimo modello perdendo parte del suo fascino simbolico, all’essere umano cosa è rimasto?

Abbiamo sconfitto il senso di colpa abbandonando le religioni, abbiamo sconfitto la povertà raggiungendo un benessere medio mai avuto prima, abbiamo iniziato a lavorare sui diritti di tutti e sull’uguaglianza globale, il mito della crescita economica continua sta mostrando i suoi limiti e difetti, in un modo così plateale che anche il meno attento se ne può rendere conto. Allora, all’essere umano cosa è rimasto? Mi viene in mente una frase tratta da Fight Club, non ricordo se il libro o il film, che diceva più o meno che “la cultura (occidentale) ci ha reso uguali, non siamo più neri o bianchi o ricchi. Tutti vogliamo le stesse cose. Individualmente non siamo più niente”. Qualcuno potrebbe pensare che non essere considerati diversi per la propria carnagione o i soldi sia un bene, ed è così, ma come stiamo percorrendo l’arduo sentiero del cambiamento? Cosa rimane all’individuo immerso in un contesto in cui niente lo rende diverso dagli altri? Umberto Eco in un suo saggio scriveva proprio di come si costruiscono i nemici, perché alla fine se un nemico non ce l’hai te lo devi costruire. Se in più, questo nemico lo puoi condividere con qualcuno che come te si sente perso e senza appigli, ancora meglio. Ma se non puoi prendertela con la religione, se non puoi prendertela con le donne, con il colore della pelle con i trans, i gay lesbiche ecc…, cosa rimane? Una risposta che mi sento di dare è: la scienza. Quindi la terra è piatta, nei vaccini ci sono i bambini morti e così via. Senza qualcuno da odiare iniziamo a farlo contro ogni cosa e senza ragion d’essere.

In 1984 Orwell descrive bene come gli uomini possono essere soggiogati attraverso (ma non solo) l’identificazione di un nemico unico e specifico. Se tutto l’odio viene riversato verso quel bersaglio in modo costante, non ne rimarrà per nessun altro e in primo luogo verso il Sistema che governa, ponendo come contrario a questa situazione il caos emozionale. Ora, dopo tutte queste riflessioni, se vi aspettavate un barlume di speranza vi devo deludere, perché credo, e non penso di fare un azzardo, che possono cambiare i secoli, i nemici da demonizzare, ma l’odio farà sempre parte di noi, basta trovarsi davanti qualcuno che non ci somiglia abbastanza e il gioco è fatto.

Ma, e qui ci piazzo un altro bel “Ma…”, possiamo usare questa consapevolezza a nostro favore. Io, per esempio, grazie a queste riflessioni, sono stato in grado di non strangolare a mani nude un terrapiattista. E non solo! L’altro giorno, facendo retromarcia con la macchina ho avuto la prontezza di non mettere sotto un mio collega no vax. Come vedete è semplice(?), basta sapere di che pasta siamo fatti, tutti quanti, nessuno escluso. Nessuno.